Sul sito della Commissione Nazionale Dibattito Pubblico si legge quanto segue.
Il Codice dei contratti pubblici all’art. 22, comma 2, ha previsto l’adozione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per la disciplina dei criteri per l’individuazione delle grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale che hanno un impatto sull’ambiente, sulle città e sull’assetto del territorio, distinte per tipologia e soglie dimensionali, per cui è obbligatorio il ricorso alla procedura di Dibattito pubblico, nonché le modalità di svolgimento e il termine di conclusione della medesima procedura. Il primo correttivo al Codice dei contratti pubblici ha precisato che i nuovi interventi ai quali occorre fare riferimento per l’applicazione dell’istituto del Dibattito pubblico sono quelli avviati dopo la data di entrata in vigore del medesimo decreto, ovvero dopo il 24 agosto 2018, ed ha stabilito contestualmente le modalità di monitoraggio sull’applicazione dell’istituto.
La disciplina del dibattito pubblico è intervenuta con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 10 maggio 2018, n.76. Il decreto declina le modalità di svolgimento, le tipologie e le soglie dimensionali delle opere sottoposte a Dibattito pubblico, puntualizzando altresì le competenze della Commissione Nazionale.
Fin qui la normativa.
Il Dibattito Pubblico sarebbe dunque una procedura che dovrebbe consentire il coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni di localizzazione di rilevanti progetti infrastrutturali. È stato introdotto nell’ordinamento italiano sulla falsariga della procedura esistente in Francia da tempo. In realtà si tratta di uno ‘strumento’ fortemente spuntato proprio per quanto concerne il ruolo dei cittadini. Se si fa riferimento alla ‘scala della partecipazione’ (S. Arnstein, 1969) si tratta nella migliore delle ipotesi di una mera consultazione (ma più verosimilmente di un’operazione manipolatoria o terapeutica secondo la stessa ‘scala’) che lascia il proponente dell’opera libero di decidere discrezionalmente come procedere. Se è vero che in Francia qualche volta i progetti originari sono stati modificati in qualche misura per ridurre gli impatti, molto di rado sono stati cancellati.
Il punto è che il livello di empowerment dei cittadini e dei processi di Dibattito Pubblico è praticamente nullo. Eppure anche questo sembra sia troppo.
A Bologna alcuni anni fa il Comune fece i salti mortali per approvare un allargamento dell’attuale autostrada/tangenziale (il ‘Passante’) prima che entrasse in vigore la procedura di Dibattito Pubblico, schivando l’obbligo di pochi mesi. Ora a Milano alcuni Consiglieri hanno chiesto di svolgere un processo di Dibattito Pubblico in relazione alla realizzazione di un nuovo stadio. Dopo aver apparentemente accettato obtorto collo l’idea, ora il Comune sembra voler evitare anche questo confronto sia pur minimale con i cittadini preferendo non disturbare il ‘colloquio’ con le società calcistiche che hanno espresso il proprio progetto. Il Comune intende infatti approfittare di una Circolare ministeriale che, motivato dalla pandemia, concede la possibilità di derogare all’obbligo della procedura di Dibattito Pubblico, che diventa quindi facoltativo. Insomma, ogni scusa è buona.
Personalmente non considero il Dibattito Pubblico uno strumento di reale partecipazione, ma sono costretto a constatare che perfino questa forma di coinvolgimento simbolica e superficiale venga accantonata alla bisogna (di qualcuno).
Di questo passo si rinuncia non solo a tutelare l’ambiente, ma anche e soprattutto a rivitalizzare la democrazia.
Rodolfo Lewanski
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